I complessi famigliari - Lacan

Introduzione

Lacan introduce il suo testo presentando la famiglia come un’istituzione, allontanandosi dai tentativi di renderla un fattore esclusivamente di stampo biologico.
La famiglia, per l’autore, gioca un ruolo primordiale nella trasmissione della cultura, essa prevale nella prima educazione, nella repressione degli istinti e nell’acquisizione della lingua madre. Presiede inoltre alla formazione delle emozioni secondo tipi condizionati dall’ambiente.

La famiglia, quindi, trasmette strutture di funzionamento e comportamento il cui funzionamento si estende oltre i limiti della coscienza. La famiglia riesce quindi a trasmettere quella che Conn ha denominato “eredità sociale” ad intendere la trasmissione alla discendenza di disposizioni psichiche che confinano con l’innato.
Il fatto che ad oggi, in occidente, la famiglia sia composta dagli stessi elementi della famiglia biologica (padre, madre e figli) non è che un’uguaglianza numerica, ci dice Lacan. Tuttavia la mente è tentata di riconoscere in questo una comunità di struttura direttamente fondata sugli istinti; su questo si sarebbe infatti fondato il concetto di famiglia primitiva, talvolta vista come promiscua al pari di quelle animali, talvolta costruita sul modello animale di coppia stabile. Tutte queste teorie non poggiano su alcun fatto conosciuto; l’unica cosa osservabile e costante e la presenza di un’autorità (seppure in varie forme) e un aggregato di coppie biologiche e di una parentela più o meno legata alla consanguineità.

Il fatto che le famiglie non siano solo aggregato di coppie biologiche estato dimostrato da Durkheim e Fauconnet con l’esempio storico della famiglia romana, mentre il fatto che essa sia una parentela derivata più dai legami sociali che da quelli biologici è evidente dal fatto che la parentela e riconosciuta solo dai riti che legittimano i legami di sangue (è stato infatti il matrimonio a determinare, fino a qualche anno fa, i rapporti di filiazione) o che ne creano di fittizi all`occorrenza.

Più si scoprono famiglie primitive e più esse si allargano in raggruppamenti che, come il clan, possono essere considerati politici. Possiamo quindi dire, in sintesi, che guardare al passato non esclude né la possibilità di trovare famiglie limitate ai loro componenti biologici né di trovare forme ampliate di aggregazione.

La famiglia moderna appare, al termine di questa analisi, semplicemente come una struttura profondamente complessa, che più` sembra avere in comune con le famiglie antiche che con quelle elementare di oggi.

 

 

I complessi familiari visti da Lacan.

Per poter addentrarci appieno nella trattazione è necessario cercare di capire che cosa si intende per “complesso” come fase di sviluppo vissuto durante l’infanzia.

Per Lacan il complesso è quell’istante che lega in una forma fissa un insieme di relazioni e che ripropone una certa realtà dell’ambiente in maniera doppia, in termini di forma e attività.

La forma del complesso è la realtà di una tappa delle sviluppo e specifica lo stesso (ad esempio la realtà dello svezzamento determina il complesso di svezzamento stesso), l’attività è la ripetizione del vissuto della realtà in oggetto.

In sintesi, esso ripete una realtà fissata invece di operare un’oggettivazione superiore. Parliamo di oggettivazione per indicare il reale che deve essere soggettivato, cioè comunicato, dal soggetto. Una carenza di oggettivazione blocca il soggetto nel reale e crea il complesso stesso.

Il complesso quindi si manifesta come una carenza rispetto alla situazione in termini di relazione di conoscenza (in quanto bisogna conoscere l’oggetto) forma di organizzazione soggettiva (poiché per conoscere l’oggetto è necessario metterlo in relazione con diverse percezioni) e in termini di prova di uno scontro con il reale (ammettendo le emozioni che può generare).

Lacan identifica tre complessi: quello di svezzamento, quello di intrusione e quello edipico. Nei paragrafi successivi vedremo brevemente i punti salienti di queste tre tappe, mantenendo il linguaggio classico utilizzato da Lacan, parleremo quindi di madre e di padre. Questa prima parte ci servirà per chiarire la cornice di partenza; successivamente ci interrogheremo su come queste due figure non siano altro che funzioni per Lacan, indipendenti dal genere, e come siano concetti utili a stabilire dei limiti e dei ruoli.

 

Il complesso di svezzamento.

Il complesso di svezzamento, come ci spiega Lacan nel suo scritto, rappresenta la forma primordiale dell’imago materna e fonda i sentimenti più arcaici e stabili che legano l’Individuo alla famiglia..
Con il termine Imago Lacan indica un concetto che collega reale e simbolico, uno schema inconscio con cui il soggetto considera l’altro, uno schema immaginario acquisito che orienta in maniera specifica il modo in cui il soggetto percepisce l’altro, orientandone le proiezioni.

Lo svezzamento, più o meno traumatico che sia, lascia nello psichismo umano la traccia permanente della relazione biologica che si interrompe. La regolazione che rappresenta questa fase di sviluppo non si fonda su basi istintuali, bensì, ci dice Lacan, su basi culturali; non c’è infatti una sola forma di svezzamento ma molteplici, che variano in base alla società e ai tempi. In questa forma mutevole Lacan vede il mondo simbolico umano che prende vita e si sviluppa, e ci intravede il rapporto tra il soggetto e gli oggetti di godimento, aprendo le porte alla necessità del capire come comportarsi in relazione a queste forme.

Il bambino può vivere più o meno serenamente il momento dello svezzamento in base alle sue intenzioni mentali, ci dice Lacan, in base quindi a come il soggetto significa questo momento di vita. Parliamo di intenzione perché ancora non siamo davanti ad un io formato, che può scegliere.

A questo proposito Lacan ci chiarisce subito che in questa fase non si può parlare di narcisismo primario (in relazione a se stesso), bensì di secondario (in relazione all’altro) perchè fin da subito il bimbo mostra una relazione elettiva con il viso umano. Questa relazione elettiva ci permette di concepire sia che il bambino ha una conoscenza precoce della presenza della funzione materna sia che risulti in qualche modo consapevole del ruolo traumatico che la sua sostituzione può generare.

Questa ambivalenza è evidente se pensiamo alla diade come composta da un essere che assorbe ma che a sua volta viene assorbito nell’abbraccio materno che vi corrisponde: parliamo infatti di cannibalismo fusionale per identificare quel desiderio larvale che caratterizza l’imago materna, e che rimarrà in tutte le forme di amore.

Possiamo quindi dire che è comunque il rifiuto dello svezzamento che fonda l’aspetto positivo del complesso, ovvero l’imago della relazione di nutrimento che esso tende a ristabilire. Il caso del complesso di svezzamento dimostra infatti come un rapporto organico, che salva dall’immaturità alla vita del neonato, renda difficile sublimare il distacco dalla madre. Tuttavia tale sublimazione deve accadere per permettere che vi si introducano nuovi rapporti in relazione al gruppo sociale e nuovi complessi che integrino lo psichismo.
Nella misura in cui l’imago impedisce il progresso della personalità diventa un fattore da benefico a dannoso, un fattore di morte.

Arriviamo così a parlare di imago del seno materno come legata al desiderio di morte, questa, in relazione allo svezzamento, si evidenzia in tutte quelle forme suicidarie dolci dalle tipiche connotazioni orali (anoressia, uso di sostanze orali ecc). Nell’abbandono alla morte si ricerca l’imago dell’utero materno e della fusione con esso. Il complesso non risponde quindi come pensava Freud a delle funzioni vitali, bensì all’insufficienza congenita di tali funzioni.
Questa idea morbosa è riscontrabile in molte pratiche di sepoltura, ricollegabili al ritorno materno, nelle prime forme abitative quali caverne e capanne, così simili all’utero.

Possiamo comunque notare anche che, per quanto sublimata, l’imago materna continua ad essere presente nelle strutture familiari, di conseguenza tutto quello che è l’unità domestica diventa, per l’individuo, l’oggetto di un’affezione distinta da quello che lo lega ad ogni singolo membro della famiglia.
L’abbandono della sicurezza rappresentata dall’economia familiare risulta, nelle varie fasi della vita, una rievocazione del complesso di svezzamento.
Ogni compimento della personalità richiede un nuovo svezzamento.

Possiamo dire, in conclusione, che la saturazione del complesso di svezzamento fonda il sentimento materno, che la sua sublimazione contribuisce al sentimento familiare e che la sua liquidazione lascia tracce in cui si può riconoscere.

La struttura dell’imago rimane la base dei processi mentali che l’hanno rimaneggiata.

 

Il complesso di intrusione

Il complesso di intrusione rappresenta quel momento in cui il bambino si accorge di avere dei fratelli. Le condizioni perché questo possa accadere sono variabili perché dipendono dalla cultura di appartenenza, e quindi dall’estensione che questa da ai gruppi domestici, e saranno legate anche a contingenze individuali, e quindi al fatto di essere o meno il primogenito della famiglia.

E’ in questa fase che il bambino può iniziare a manifestare la gelosia, elemento importante perché identificata come archetipo dei sentimenti sociali. Dai sei mesi ai due anni è possibile infatti osservare, ponendo in relazione due bambini, che questi instaureranno una relazione in cui si abbozza il riconoscimento di un rivale, di un altro in quanto oggetto. Questo tipo di relazione è visibile solo in individui di età simile, e permette che appaiono i comportamenti di parata, seduzione e dispotismo.

Questi tre comportamenti evidenziano una sorta di paradosso perché non stiamo parlando di un conflitto tra due individui, ma di un conflitto dentro ciascun soggetto: questo accade perché il soggetto che si mostra all’altro, che tenta di sedurlo o di dominarlo attuando delle vere e proprie condotte sociali, si fonda sulla presenza dell’altro e sul valore immaginario che gli riconosce e che da senso alle sue azioni. Possiamo quindi chiederci chi sta cercando di impressionare il bambino che attua le condotte?

Il secondo bambino che ha davanti o il secondo bambino immaginario che vive nel primo?

Appare dunque evidente, ci spiega Lacan, che l’imago dell’altro è legata alla struttura del corpo proprio, e più in particolare alle sue funzioni di relazione per via di una certa similitudine oggettiva.

La psicoanalisi ci permette di fare un’altra importante riflessione a questo punto: possiamo infatti evidenziare il rapporto tra amore ed esigenze libidiche ed identificazione, la cui opposizione sarà fondamentale negli stadi successivi.

Questa dinamica è evidente nella gelosia delle relazioni amorose adulte in cui il soggetto geloso prova per il rivale un forte odio, motivato dal moto pulsionale per la figura amata, ma anche una forte identificazione nell’oggetto di tale rabbia (il soggetto geloso infatti spesso immagina dei connotati particolari per il rivale, che di solito nascono dal suo immaginario).

Nelle relazioni infantili fraterne è maggiormente evidente come l’aggressività sia secondaria all’identificazione, poiché il tutto non viene mascherato dal pensiero adulto. In età infantile infatti il soggetto geloso è solitamente svezzato da tempo e non è in competizione vitale con il fratello, quello che lo attiva è quindi l’identificazione con esso e con il suo stato.

Appare in questa dinamica ciò che viene inteso come masochismo primario, ovvero quel momento dialettico in cui il soggetto rivive nel gioco la difficoltà dello svezzamento. Questa dinamica è identificabile in tutte quelle pratiche per cui il bambino allontana da se un oggetto, per cui recuperarlo, gioendone, e allontanandolo di nuovo. Il soggetto rivive quindi la parte patetica dello svezzamento, la perdita del seno, ma trionfandovi sentendosi parte attiva nella sua riproduzione.

Osserviamo nel bambino una libido sado-masochistica, che viene sollecitata particolarmente dall’immagine del fratello non svezzato in quanto ripete nel soggetto l’imago della situazione materna e del desiderio di morte.

L’identificazione affettiva, di cui abbiamo parlato, è un concetto originale della psicoanalisi e sarà protagonista del complesso edipico, tuttavia anche in questo stadio ha un ruolo importante e che rimane mal definito se non spiegato attraverso l’uso dello stadio dello specchio.

Lo stadio dello specchio corrisponde al declino dello svezzamento e avviene tra i sei e gli otto mesi di vita del bambino. Il riconoscimento da parte del soggetto della propria immagine nello specchio è significativo perché è legata nell’essere vivente ad un livello di intelligenza e socievolezza.

Il fatto che ad un certo punto il bambino, intorno al sesto mese di vita, si accorga del suo doppio nello specchio implica la rottura con la condizione di prematurità alla nascita, tipica di tutta la specie umana e l’ingresso in una nuova era di sviluppo.
Prima dei sei mesi il bambino condivide la percezione animale e si adatta all’ambiente che lo circonda, con lo stadio dello specchio il bambino ha accesso alle pulsioni che prima venivano sottomesse dal funzionamento adattivo.

A seguito di questo sviluppo il bambino si trova ad avere un corpo che percepisce come frammentato: da una parte infatti l’interesse psichico sarà concentrato sul cercare di ricollegare il proprio corpo, mentre dall’altra la realtà sottomessa al caos di informazioni che ora circondano il bambino.

La tendenza che ha il soggetto di cercare di ristabilire un’unità perduta di se stesso sarà la fonte di energia del suo progresso mentale, progresso determinato dalle funzioni visive.
Siccome la ricerca della propria unità affettiva è legata promuove nel soggetto le forme in cui vede rappresentata la propria identità la forma più intuitiva è data dall’immagine speculare, l’imago del doppio.

Siamo in questa fase in un mondo narcisistico, in cui l’immagine dell’altro gioca un ruolo primario perchè porta il soggetto a non distinguere se stesso dall’immagine stessa, in una così definita \textbf{intrusione narcisistica} in cui il percepire l’immagine speculare non fa altro che aggiungere un intrusione temporanea alle percezioni del bambino. Prima che quindi l’io riesca ad affermare la propria identità assistiamo ad un mescolamento con questa immagine primordiale che lo forma e lo aliena.

L’io si costruirà contemporaneamente all’altrui nel dramma della gelosia. La presenza di questo sentimento implica infatti l’introduzione di un terzo oggetto che porterà il soggetto, coinvolto nella gelosia per identificazione, a due nuove ipotesi: da una parte ritrovare l’oggetto materno aggrappandosi al rifiuto del reale e alla distruzione dell’altro, dall’altra il recepire il nuovo oggetto come qualcosa di comunicabile e l’altro come qualcuno che lotta o contratto, ritrovando sia l’altrui che l’oggetto socializzato. Troviamo ancora la gelosia come archetipo dei sentimenti sociali e della loro possibilità generativa.

Il bambino dovrà aspettare i tre anni per vedere formato l’io, che si esprimerà nella forma dell’oggettivazione tipica dell’umano.

 

Il complesso edipico

Il complesso di Edipo definisce le relazioni psichiche nella famiglia umana. Come sappiamo la psicoanalisi ha rivelato che nel bambino albergano pulsioni genitali il cui apice si situa nel quarto anno. Queste pulsioni fissano il bambino con un desiderio sessuale sull’oggetto più` vicino, ovvero il genitore del sesso opposto. Queste pulsioni generano la base del complesso e la frustrazione ne forma il nodo.

La frustrazione che prova il bambino viene accompagnata da una repressione educativa che ha lo scopo di impedire il realizzarsi di queste pulsioni, e anche della masturbazione. La tensione così` creata si risolve con la rimozione della tendenza sessuale da una parte e con la sublimazione dell’immagine parentale dall’altra. Questo doppio processo rimane scritto nello psichismo in due istanze: il super io che rimuove e l’ideale dell’io che sublima. Queste due istanze sono a fondamento della nevrosi e alla base della spiegazione dei sintomi psichici.

Alla luce del funzionamento di queste due istanze possiamo dire che le nevrosi (intese come incidenti nella vita del soggetto) assumono grande importanza perché permettono all’analista di riportarle a tratti individuali della personalità del soggetto.

Quando le nevrosi minano la situazione edipica come traumi della sua evoluzione esse hanno effetti sul super io (e quindi sulla rimozione). Se invece le nevrosi intaccano la situazione edipica come atipie nella sua stessa costituzione gli effetti si riflettono nelle forme dell’ideale dell’io (e quindi sulla sublimazione).
In questo modo sia come inibizioni dell’attività sessuale sia come inversioni dell’immaginazione sessuale, molti disturbi che vedono il compromettersi delle funzioni elementari di base hanno trovato la loro spiegazione.
Scoprire come sviluppi importanti per l`uomo, come quelli relativi alla repressione sessuale e del sesso psichico, erano derivati e sottomessi alla regolazione del complesso edipico e agli incidenti che possono avvenire equivale a dare un contributo importante all’antropologia famigliare e, più in generale, allo studio delle regole universali circa i tabù riproduttivi nella stessa famiglia.

Freud raggiunge rapidamente la teoria della dissimmetria nella teoria della famiglia. Dice che il processo che va dal desiderio edipico alla repressione risulta semplice solo nel bambino maschio, epiù intenso e più` facilmente visibile. Inoltre la repressione si rivela come meccanismo giustificabile solo se viene esercitata dal padre sul figlio maschio dando origine al complesso di castrazione.

Ma come avviene questa repressione? attraverso un doppio movimento: da un lato l’aggressività nei confronti del genitore rispetto a cui il desiderio sessuale mette in bambino in posizione di rivale, dall’altro il timore secondario verso lo stesso, di venire di rimando aggrediti. Questi due movimenti sono sostenuti dal fantasma di castrazione che consiste nella mutilazione dei genitali, percepita dal bambino come reale poiché sostenuta nell’immaginario dalle tradizioni e minacce educative. Qui troviamo il prototipo della repressione edipica, tramandata di padre i padre.

La proibizione dell’incesto con la madre non ha così un carattere solamente universale, è anche qualcosa di espresso e condiviso da tutte le popolazioni, e si riconosce nella madre il primo tabù primordiale. La nascita di questo segna il passaggio dalla famiglia primitive (in cui i figli maschi, ucciso il padre, si impossessavano della totem, della madre) alla famiglia coniugale di oggi. La necessità di far diventare la madre un tabù normato starebbe quindi alla base della tradizione morale e culturale di oggi.

Il complesso di Edipo comunque segna tutti i livelli dello psichismo, ma i teorici psicoanalisti hanno definito le funzioni che esso svolge nei vari momenti in modo abbastanza ambiguo. Il complesso appare come lasse secondo cui l’evoluzione della sessualità si proietta nella costituzione della realtà`.

Vediamo come.

Il movimento dell’Edipo si effettua tramite un conflitto triangolare nel soggetto.

Un vertice del triangolo è dato dalla madre. Essa è il primo oggetto delle tendenze libidiche, come cibo da assorbire e come seno da cui essere riassorbito, e si propone come oggetto del desiderio edipico. Ma non è il desiderio genitale a muovere L’Edipo nel bambino, è l’angoscia che l’imago materna primitiva possa riattualizzarsi. La madre infatti fa, dalla nascita del bambino, ha la funzione di dare un corpo a tutte quelle forme immaginarie che servono a colmare il buco dato dalla rappresentazione iniziale del bambino che non ha ancora sviluppato l’io.

Il secondo vertice del triangolo è il bambino, che fino al momento dell’accendersi dell’Edipo viveva nella tranquillità di aver lasciato il seno materno e mortifero con lo svezzamento, si ritrova a rivivere ancora una volta la madre come oggetto di desiderio. A questo il soggetto risponde riproducendo il rigetto masochistico con il quale ha superato la perdita del seno, ma lo realizza dando una localizzazione immaginaria alla tendenza: i genitali.

Il terzo vertice è dato dal padre. Esso ha la funzione di portare il fantasma di castrazione, questo ha una funzione difensiva perché protegge l’io narcisistico del bambino dalla crisi che comporta il riacceso interesse per la figura materna

Ma come si muovono questi tre vertici tra loro?

Il punto cruciale è la divisione che la castrazione porta nell’oggetto desiderato dal bambino (la madre) e dalla madre (il bambino) e l’identificazione per il bambino con colui che fa da ostacolo alla realizzazione di questo desiderio, vale a dire il padre.
Il valore del complesso edipico è quindi quello di farci passare dall’altro materno e mortifero , dal simile altrettanto mortifero, all’altro finalmente sublimato e che consente un accordo tra il soggetto e la sua esistenza. Si prepara infatti il “nome-del-padre” che permetterà al bambino di passare dall’essere consegnati al “capriccio” della madre (cioè dal dipendere da una legge selvaggia ed arbitraria) ad una legge regolata dall’istanza paterna, agente di stabilizzazione e di civiltà.